FATTORI DI RISCHIO E FATTORI PROTETTIVI
Nei primi anni di vita, i bambini hanno bisogno di caregivers (solitamente la mamma) sufficientemente sicuri, prevedibili, amorevoli, disponibili ed accessibili. In un ambiente sicuro e accudente, il cervello dei bambini è in grado di svilupparsi in modo sano ed equilibrato, seguendo le normali fasi della crescita.
Poter avere un solido legame di attaccamento, per un bambino significa avere la possibilità di crescere sentendosi al sicuro, sviluppando abilità prosociali e avendo fiducia nell’ambiente e nelle persone a lui vicine. Questo ambiente favorevole, è il terreno ideale per coltivare autoefficacia, autostima, autonomia e resilienza.
In questi anni, ci sono tanti studi sulla RESILIENZA, che in psicologia è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà senza particolari conseguenze negative.
Uno dei grandi pregi degli studi sulla resilienza è evidenziare quali siano i fattori che predispongono a rispondere in maniera adattiva agli eventi stressanti e negativi e quelli che invece inducono reazioni disfunzionali.
I fattori di rischio possono essere definiti come l’insieme delle condizioni esistenziali dell’individuo e del suo ambiente che comporta una probabilità maggiore di sviluppare comportamenti devianti o antisociali (dipendenze patologiche o comportamenti disfunzionali) rispetto a quella che si osserva nella popolazione generale.
Di fronte agli eventi stressanti, fattori di rischio e protettivi possono determinare il modo in cui individui diversi rispondono agli stessi stressors.
I bambini dotati di fattori protettivi crescono adeguatamente nonostante siano esposti a condizioni di rischio e sono considerati resilienti. I bambini che non hanno questi fattori protettivi o in cui questi non sono adeguatamente sviluppati, possono presentare difficoltà sul piano emotivo, comportamentale, di apprendimento e vengono descritti come vulnerabili. I fattori di protezione giocano un ruolo fondamentale nel contrastare gli effetti negativi delle circostanze di vita avverse, favorendo un adattamento positivo e potenziando quindi la resilienza.
Il termine Trauma dello Sviluppo (ACE o Adverse Childhood Experiences) viene usato in letteratura per descrivere i traumi dell’infanzia, come ad esempio situazioni di abuso cronico, grave trascuratezza o altre avversità che hanno avuto luogo in casa. Quando un bambino è esposto ad un distress e i suoi caregiver non sono in grado di aiutarlo o addirittura rappresentano la causa stessa di tale stress, il bambino va incontro a un trauma dello sviluppo.
FATTORI DI RISCHIO
La presenza di un genitore affetto da una malattia psichiatrica o che abusa di sostanze (alcol, droghe), la perdita di un genitore a causa di divorzio, abbandono o incarcerazione, esperienze di violenza domestica, il non sentirsi amato, considerato o supportato dalla famiglia, oppure non avere abbastanza cibo o abiti puliti, subire abusi sessuali, violenza fisica o verbale, sono tutti fattori di rischio.
Lo studio più ampio e famoso in merito a questi traumi è probabilmente quello conosciuto come “The adverse childhood experiences (ACE) study”, che ha coinvolto più di quindicimila adulti e dimostrato che la presenza di più eventi avversi durante l’infanzia, ponesse poi l’adulto ad un aumentato rischio di sviluppare malattie croniche. Esplora con precisione l’associazione tra il le esperienze traumatiche vissute nei primi anni di vita, e l’insorgenza di patologie fisiche e mentali in età adulta.
I dati raccolti attraverso numerosi altri parametri sulla salute dei partecipanti fino ad oggi, mostrano che esiste una forte correlazione tra trauma e esiti di vita negativi. Ciò significa che maggiore è il numero di eventi avversi vissuti durante l’infanzia (e minore l’età in cui si sono verificati), maggiori le patologie presentate da adulti, anche quelle legate a comportamenti che mettono a rischio la salute.
L’aspetto davvero importante di questo studio è che fornisce la possibilità di prevenire molte gravi e croniche patologie dell’età adulta, attraverso una cultura dell’informazione e di prevenzione degli eventi avversi nell’infanzia.
Perché è una persona sviluppi resilienza è fondamentale che sperimenti una figura di attaccamento positiva e che abbia la possibilità di fare delle esperienze che aumentino la propria autostima e l’auto efficacia percepita.
FATTORI PROTETTIVI
Vivere un’infanzia mediamente serena con genitori sufficientemente “buoni” cioè responsivi e disponibili, non elimina i normali conflitti, delusioni e inevitabili frustrazioni che fanno parte del nostro mondo relazionale, ma protegge dal subire gravi abusi, trascuratezza e violenza e questo è alla base di una vita sana sia mentalmente che fisicamente.
Un ambiente familiare amorevole ci permette di sviluppare la capacità di prenderci cura di noi stessi, così come altri hanno fatto con noi quando eravamo piccoli, di fidarci ed affidarci nelle relazioni, di poter essere stabili e regolare le nostre emozioni anche nelle inevitabili tempeste della vita.
La capacità infatti di regolare le nostre emozioni, di avere cura di noi, di saper stare nella relazione tollerando distanza, vicinanza, interdipendenza e frustrazioni, sono solo alcune delle abilità che impariamo molto precocemente durante le nostre prime esperienze di attaccamento.
I fattori protettivi familiari comprendono l’elevata attenzione riservata al bambino nel primo anno di vita, e più in generale, nei primi tre anni, la qualità delle relazioni tra genitori, il sostegno alla madre nell’accudimento del piccolo, la coerenza nelle regole, il supporto del padre e dei parenti o comunque di figure di riferimento affettivo. E’ altresì importante che un bambino si senta protetto dalla famiglia di fronte a situazioni di disagio e che sperimenti un forte legame affettivo e di unione non solo con i genitori ma anche con i parenti e il gruppo dei pari.
Dott.ssa Barbara Bove Angeretti
Consulente per il sonno e l’educazione empatica
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