EDUCARE AL CONSENSO EDUCARE AL RISPETTO

TOCCARE O BACIARE UNA PERSONA SENZA IL SUO CONSENSO PER 1 ADOLESCENTE SU 5 NON È VIOLENZA: SECONDO TE COME È POSSIBILE QUESTO DATO? NON SANNO NULLA SUL CONSENSO?

Psicologa Bove Angeretti: Credo che per spiegare questo fenomeno dobbiamo cercare una parte di spiegazione all’interno della famiglia e quindi andando ad analizzare le tematiche educative e dall’altra a considerare le dinamiche all’interno del gruppo dei pari e quindi le dinamiche di apparenza e culturali tipiche degli adolescenti.

Consideriamo in primo luogo che l’abitudine all’uso dei social media e delle tecnologie, che rendono facile accedere all’altra persona in ogni momento, può desensibilizzare gli adolescenti rispetto ai limiti della privacy personale. È anche possibile che alcuni abbiano difficoltà a riconoscere i segnali di oppressione o a differenziarli dalle manifestazioni di interesse, soprattutto se non hanno ricevuto un’educazione chiara sul consenso e il rispetto dei confini.

Avvocato Crespi: Dal punto di vista giuridico il toccare parti intime o zone erogene, baciare sulla bocca o sulla guancia sono atti sessuali e, se posti in essere senza il consenso, costituiscono ipotesi di violenza sessuale (attenuata). Infatti il nostro legislatore ha considerato non solo lo stupro, ma tutti gli atti sessuali.
Un bacio sulla bocca è un atto sessuale e, quindi, se dato senza il consenso di chi lo riceve, si commette violenza sessuale, anche quando si risolva nel semplice contatto delle labbra, perché idoneo a ledere la libertà e integrità sessuale.
Occorre ricordare il palpeggiamento o palpata breve: anche se posta in essere con intento goliardico, integra violenza sessuale e non molestie (reato molto meno grave).

 

INVIARE MESSAGGI INSISTENTEMENTE, CHIAMARE TANTISSIME VOLTE O GEOLOCALIZZARE (PER QUASI 1 ADOLESCENTE SU 3 NON È VIOLENZA) : SECONDO TE NON SI SENTONO OPPRESSE OPPURE NON SANNO COSA SIA LO STALKING?

Psicologa Bove Angeretti: È probabile che molti adolescenti non riconoscano questi comportamenti come oppressivi o come stalking per una combinazione di fattori: da un lato mancanza di consapevolezza su cosa sia effettivamente lo stalking e sui confini del rispetto reciproco. Dall’altro, alcuni potrebbero percepire questi gesti come “normali” o addirittura come espressioni di affetto, soprattutto in un contesto culturale in cui il controllo e la gelosia vengono talvolta romanticizzati, ancora oggi sento mamme dire alle figlie “Si comporta così perchè gli piaci” e già da queste poche parole ripetute nel tempo, sono proprio i genitori che giustificano il comportamento.

Avvocato Crespi: Lo stalking è il reato di atti persecutori previsto dall’art. 612 bis cp: occorre una molteplicità di condotte persecutorie (minacce o molestie) realizzate nel tempo che cagionino ansia, stress, paura, timore per sè o altri o cambiamenti nelle proprie abitudini di vita. Quando è realizzato da chi ha con la vittima una relazione (o un ex) è aggravato.
La gelosia potrebbe portare a comportamenti persecutori o a minacce.
La Cassazione ha qualificato la gelosia come un ulteriore reato, ossia i maltrattamenti in famiglia, ma anche come attenuante, aggravante (motivi abietti o futili ex art. 61 n. 1 cp) e causa di vizio totale di mente.

 

RACCONTARE A TERZI DETTAGLI INTIMI DEL O DELLA PARTNER SENZA IL SUO CONSENSO (1 SU 4 PENSA CHE SIA NORMALE): SECONDO TE NON HANNO BEN PRESENTE IL CONCETTO DI PRIVACY? COSA SPINGE GLI ADOLESCENTI A CONSIDERARE NORMALE RIVELARE TALI DETTAGLI?

Psicologa Bove Angeretti: Gli adolescenti sono immersi in una cultura digitale dove la condivisione di contenuti personali è incentivata, se non addirittura premiata. Social media e piattaforme incentivano costantemente la trasparenza della vita privata e, per alcuni, questa esposizione continua può rendere labili i confini tra pubblico e privato.

Gli Influencer che adesso sono l’espressione massima del successo, vivono grazie alla condivisione della loro vita privata.

Inoltre il bisogno di accettazione e approvazione dai pari è molto forte. Condividere dettagli intimi può diventare un modo per ottenere attenzione, o confermare la propria posizione all’interno del gruppo. 

In questo contesto, parlare della propria relazione può sembrare un atto di connessione con gli altri, piuttosto che un’invasione della privacy, anzi raccontare dettagli privati può sembrare una strada per definire il proprio ruolo in una relazione, o addirittura per ottenere validazione da chi li ascolta.

Avvocato Crespi: Diffondere foto o video intimi costituisce il reato di diffusione illecita ex art 613 ter cp impropriamente chiamato “revenge porn. Infatti con questa espressione sembra che tale reato sia determinato solo da vendetta (e non è così). Inoltre definire ‘porn’ scatti fatti consensualmente (sexting) è scorretto. Il reato infatti punisce la divulgazione senza consenso non la ripresa o gli scatti fotografici. Tale divulgazione può avvenire da parte dei soggetti ripresi oppure da parte di terzi che hanno a loro volta ricevuto tali immagini per recare nocumento alla vittima (si tratta di dolo specifico, non richiesto quando la divulgazione viene realizzata da chi ha ricevuto le foto o video dsl soggetto ripreso).

 

ISOLARE IL PROPRIO PARTNER METTENDOGLI CONTRO AMICHE O AMICI (PER 2 RAGAZZI SU 10 NON È VIOLENZA) : COSA SPINGE UNA PERSONA A FAR VIVERE ISOLATO IL/LA PROPRIA PARTNER? INSICUREZZA? 

Psicologa Bove Angeretti: Sì, l’insicurezza è una delle principali motivazioni che possono spingere una persona a isolare il proprio partner, ma ci sono anche altri fattori psicologici e dinamiche di potere in gioco:

Una persona che si sente insicura o teme il confronto con gli altri può vedere gli amici e la rete sociale del partner come una minaccia. Per proteggersi da sentimenti di inadeguatezza, può cercare di isolare il partner, in modo che questi dipenda più strettamente dalla relazione per il proprio benessere emotivo.

La gelosia e il desiderio di esercitare un controllo assoluto sulla vita del partner: sapere che il partner ha una vita indipendente e relazioni esterne genera ansia, che tentano di placare eliminando ogni “rivale” o possibile fonte di distrazione.

Paura dell’Abbandono: Alcuni possono aver sviluppato uno stile di attaccamento insicuro (*), con una forte paura di essere abbandonati. L’isolamento del partner diventa quindi un tentativo di assicurarsi la sua presenza e fedeltà, limitando le sue possibilità di incontrare persone che potrebbero “allontanarlo”.

Spesso, chi esercita questo tipo di controllo ha vissuto o osservato relazioni tossiche (e qui torniamo alle statistiche sull’attaccamento), dove il controllo e l’isolamento erano normalizzati. Senza un modello di relazione sana, l’isolamento può sembrare una risposta naturale o addirittura una dimostrazione di affetto.

Avvocato Crespi: L’isolamento potrebbe essere ricondotto al delitto di maltrattamenti in famiglia se c’è convivenza; se non c’è coabitazione potrebbe configurare stalking. Occorrerebbe tuttavia una pluralità di condotte, in quanto entrambe le fattispecie sono reati abituali. Potrebbe, infine, essere configurabile l’ipotesi di violenza privata, ossia violenza o minaccia rivolte a far fare, omettere o tollerare qualcosa.

 

DIRE ALLA PROPRIA RAGAZZA COME VESTIRE O COSA NON INDOSSARE (PER 1 RAGAZZO SU 3 NON È VIOLENZA) : COSA SPINGE UN RAGAZZO A COMPORTARSI COSÌ? GELOSIA? INSICUREZZA?

Psicologa Bove Angeretti: Spesso, chi chiede alla partner di vestirsi in un certo modo ha una bassa autostima e teme di non essere all’altezza. Le insicurezze personali vengono proiettate sul partner, e l’abbigliamento diventa un aspetto controllabile che riduce l’ansia legata all’idea di “perdere” la persona amata.

Ansia e Bisogno di Controllo: Per alcune persone, controllare la partner può fornire un senso di sicurezza, poiché permette di gestire meglio le proprie ansie. 

La paura di eventi imprevedibili – come l’attenzione altrui o il rischio di sentirsi meno desiderabili – spinge il partner a voler “gestire” queste variabili, cercando di limitare le scelte di abbigliamento dell’altra persona.

L’influenza di modelli culturali o stereotipi di genere gioca un ruolo: molti ragazzi crescono con l’idea che il loro “ruolo” sia proteggere e “guidare” la propria partner, arrivando a giustificare comportamenti limitanti come segni di affetto o responsabilità.

Avvocato Crespi: Ricordo che il giudizio sull’abbigliamento indossato da certe vittime è causa di vittimizzazione secondaria, il cd victimg blaming (molto rilevante in reati come la violenza sessuale e la diffusione illecita di video o materiale intimo). Si tratta del fenomeno per cui si colpevolizza la vittima di un crimine, ritenendola responsabile per ciò che ha subito. Al contrario nessun tipo di abbigliamento indossato può giustificare la commissione di certi reati. La Cassazione recentemente ha affermato che il giudizio sulla vittima va evitato. Al contrario se la vittima è credibile ed attendibile, la testimonianza della stessa è essenziale per fondare la condanna.

 

IL 14% DEI RAGAZZI (E IL 2% DELLE RAGAZZE) NON RITIENE SIA VIOLENZA COSTRINGERE UNA PERSONA A UN RAPPORTO SESSUALE: QUESTO DATO PER ME È ASSURDO. NON SANNO NULLA DEL CONSENSO?

Psicologa Bove Angeretti: È davvero un dato sconvolgente e indica una profonda mancanza di consapevolezza riguardo al concetto di consenso tra molti adolescenti. La percezione distorta su cosa costituisca violenza sessuale potrebbe derivare da vari fattori:

Educazione Inadeguata sul Consenso: Molti ragazzi acquisiscono informazioni sui rapporti sessuali tramite amici e internet e spesso vedono rapporti spettacolarizzati che sono uno show appunto, hanno lo scopo di intrattenere e nulla hanno a che fare con le relazioni normali

La cultura popolare e i media, per anni, hanno rappresentato relazioni con confini poco chiari sul consenso. Serie TV, film e persino canzoni possono, in alcuni casi, minimizzare o romanticizzare gesti di coercizione, rafforzando l’idea che “insistere” o “convincere” sia accettabile, quando in realtà si tratta di violenza.

Gli stereotipi legati ai ruoli di genere possono spingere alcuni giovani a credere che forzare o insistere faccia parte della “normalità” nelle dinamiche di coppia. Ad esempio, l’idea che il ragazzo debba essere “determinato” o che la ragazza debba “cedere” che il ragazzo debba conquistare e che la ragazza sia una preda, identifica le ragazze come soggetti passivi. Questi sono retaggi che, purtroppo, possono alterare la percezione di cosa sia violenza e di quanto sia essenziale il consenso in ogni interazione intima.

Alcuni ragazzi potrebbero sentirsi spinti ad avere rapporti per sentirsi accettati o validati, specialmente da coetanei. Questa pressione può far sì che minimizzino il rispetto del consenso, interpretandolo erroneamente come un ostacolo da superare, anziché come una premessa fondamentale per una relazione sana e rispettosa.

L’adolescenza è un periodo fondamentale di sviluppo emotivo e morale, se alcuni non avessero ancora pienamente interiorizzato il valore del rispetto dei confini e dei sentimenti altrui, senza una guida chiara, potrebbero non comprendere appieno l’impatto che un rapporto senza consenso può avere sulla vittima.

Questi dati mostrano chiaramente quanto sia urgente promuovere un’educazione sessuale che includa il consenso e il rispetto reciproco. Aiutare i giovani a comprendere che il consenso è un sì chiaro, entusiasta e libero da pressioni è essenziale per costruire relazioni sane e consapevoli.

Avvocato Crespi: Il consenso è essenziale e se non sussiste si commette violenza sessuale. Deve persistere per tutto il rapporto quindi si può cambiare idea. Il matrimonio o convivenza non fanno presumere il consenso. La Cassazione si basa sugli indici inequivocabili di dissenso: dire no, basta, urlare, piangere. E questo perché la norma sulla violenza sessuale (art. 609 bis cp) non prevede espressamente la parola consenso, ma costrizione, violenza o minaccia dalle quali emerge il dissenso.
Parlare ai ragazzi del consenso è essenziale per far comprendere loro quando sussiste violenza sessuale.

PER IL 19% DEI RAGAZZI (E IL 4% DELLE RAGAZZE) NON È VIOLENZA LANCIARE OGGETTI CONTRO UNA PERSONA DURANTE UN LITIGIO: PERCENTUALE ALTISSIMA. QUESTA È VIOLENZA E PUÒ CAUSARE LESIONI. PUÒ ESSERE DETERMINATO DALL’EDUCAZIONE FAMILIARE? DA CIÒ CHE HANNO VISTO IN FAMIGLIA? 

Psicologa Bove Angeretti: Certamente, questi dati mostrano come la percezione della violenza possa essere influenzata dall’ambiente familiare e dai modelli comportamentali osservati in casa. Se un ragazzo cresce in un contesto in cui lanciare oggetti durante i conflitti è considerato normale, può facilmente sviluppare la convinzione che questo sia un modo accettabile di GESTIRE LA RABBIA. 

Accade molto più spesso di quanto non si creda che i comportamenti aggressivi vengano giustificati come espressione di rabbia, come se questi fossero una conseguenza inevitabile di chi prova questa emozione e ancora una volta sono i genitori a “insegnare questo” fin da bambini, non ponendo e mantenendo limiti adeguati, accettando di subire (soprattutto le madri) comportamenti aggressivi da parte dei figli.

Ma trovare modi funzionali e non aggressivi per esprimere qualunque emozione è assolutamente possibile e direi necessario insegnarlo ai ragazzi, per questo deve esserci un genitore in grado di farlo… probabilmente è proprio questo il problema!

Inoltre, la mancanza di dialogo e di educazione emotiva può impedire ai ragazzi di sviluppare strategie più sane per esprimere e gestire le proprie emozioni. Senza una guida che insegni loro a riconoscere e regolare la rabbia, il comportamento aggressivo può sembrare un’espressione naturale del conflitto. Questo è particolarmente vero se non si insegna loro a riconoscere i danni psicologici e fisici che l’aggressività può causare.

Crescendo, molti adolescenti finiscono per credere che azioni aggressive siano strumenti accettabili, anche normali, per risolvere un contrasto. Questo sottolinea quanto sia importante che i genitori o le figure adulte offrano un modello di gestione del conflitto basato sul rispetto e sull’autocontrollo.

Avvocato Crespi: Lanciare oggetti potrebbe causare lesioni, un reato previsto dall’art. 582 cp. Se tale condotta viene posta in essere durante la convivenza, piú volte e/o unitamente ad altri atti violenti, potrebbe scattare la responsabilità per violenza domestica, aggravata da lesioni.

 

COSA POSSIAMO FARE? 

Vediamo prima qualche dato per renderci conto delle statistiche:

(*) In Italia, le statistiche sugli stili di attaccamento dei bambini al caregiver (mamma) sono in linea con quelle internazionali. Secondo le ricerche, le percentuali approssimative sono:

  • Attaccamento sicuro: circa il 50-60% dei bambini.
  • Attaccamento insicuro-evitante: circa il 20-25%.
  • Attaccamento insicuro-ambivalente: circa il 10-15%.
  • Attaccamento disorganizzato: circa il 10-15%.

Queste percentuali possono variare leggermente a seconda delle metodologie utilizzate e dei campioni studiati. È importante notare che fortunatamente lo stile di attaccamento sicuro (quello maggiormente funzionale rappresenta la maggiore %, mentre l’attaccamento disorganizzato è spesso associato a esperienze di maltrattamento o trascuratezza emotiva, che possono influenzare negativamente lo sviluppo del bambino. Gli stili insicuri possono comunque essere indice di qualche difficoltà personale o relazionale in età adulta.

I possibili interventi riguardano:

  • Psicoeducazione per i genitori
  • Educazione al consenso, a casa e a scuola
  • Educazione digitale
  • Aumentare consapevolezza motivando l’empatia

 

Dr. Barbara Bove Angeretti – Psicologa, Coordinatore Genitoriale e Criminologa

Avv. Stefania Crespi – Penalista, esperta di diritto penale della famiglia

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