FALSE ASPETTATIVE SOTTO UNA CAMPANA DI VETRO. LA “SNOWFLAKE GENERATION”.

La “generazione dei fiocchi di neve” e la fragilità diffusa

In anni recenti si è diffuso l’uso del termine “Snowflake Generation” (generazione fiocco di neve) per indicare i giovani adulti considerati eccessivamente fragili, sensibili e permalosi, al punto che ogni minima offesa diventa un affronto intollerabile.

Spesso si ritiene che questa ipersensibilità derivi anche dalla cultura del politicamente corretto tipica dell’ambiente “woke”, la quale – pur formalmente animata da buone intenzioni – tenderebbe a imporre un pensiero unico “inclusivo” e a proteggere a ogni costo le sensibilità individuali.

Il risultato, secondo diversi osservatori, è che molti giovani appaiono meno resilienti e più inclini a sentirsi offesi, esclusi, non riconosciuti rispetto alle generazioni precedenti. In altre parole, sono convinti di essere “speciali” e meritare riguardi particolari, ma in effetti sembrano incapaci di tollerare critiche o punti di vista divergenti. Questa tendenza si manifesta, per esempio, nelle accese battaglie linguistiche su pronomi e termini “sensibili”, e nell’aspettativa che chiunque adegui il proprio linguaggio per non urtare nessuna suscettibilità.

 

False aspettative in una bolla di protezione

La “cultura woke” promuove l’idea di trattare le fragilità altrui “con i guanti”, ovvero con estrema delicatezza. Nei campus anglosassoni, ad esempio, si moltiplicano le regole volte a evitare qualunque potenziale offesa: c’è chi preferisce abolire opinioni o contenuti sgraditi pur di non doversi confrontare con essi. In alcune università britanniche si è persino arrivati a penalizzare gli studenti che non utilizzano un linguaggio “gender-sensitive” (sensibile al genere) nei compiti scritti. Questo clima di protezione costante — tra trigger warning, spazi sicuri e attenzione maniacale ai pronomi — può far crescere nei ragazzi la falsa aspettativa che anche fuori da quei contesti tutti li tratteranno con simili riguardi. Si delinea così una sorta di “campana di vetro” in cui i giovani vengono incoraggiati a credere che il mondo possa e debba sempre adattarsi alle loro sensibilità e traumi personali.

Purtroppo, quando questi ragazzi e giovani adulti escono da quella bolla e si confrontano con la realtà, l’impatto è spesso brusco perchè nella vita reale si incontrano persone inconsapevoli o non curanti delle loro fragilità, linguaggi meno filtrati, critiche severe e ostacoli che nessuno attenua per loro.

Chi si aspetta che gli altri evitino sempre le parole “sbagliate” o offrano considerazione infinita per le loro ferite o fragilità o differenze, rischia dunque di restare deluso e ferito di fronte alla normale rappresentazione della vita quotidiana.

D’altra parte, aspettarsi che il mondo ripari ogni torto, sia sempre accomodante e rispettoso, finisce solo per alimentare frustrazione e infelicità. Nessuno deve un trattamento speciale a nessuno e crescere figli che se lo aspettano…. rischia di rivelare brutte sorprese: shock emotivo, ansia o rabbia. Emblematico è il fatto che negli ultimi anni le università abbiano registrato un forte aumento di studenti in crisi emotiva: molti si dichiarano “sopraffatti dall’ansia” e appaiono fragili nell’affrontare i normali contrasti, tanto che professori e dirigenti hanno dovuto cambiare approccio per timore di assistere a crisi emotive esplosive.

In pratica, questi bambini, ragazzi e giovani adulti hanno imparato ad aspettarsi un mondo privo di ostacoli, e quando questi arrivano non sanno come rispondere.

 

Da dove nascono queste fragilità?

Viene spontaneo chiedersi cosa porti una persona a sviluppare aspettative così irrealistiche…. le cause sono molteplici e spesso iniziano molto presto.

Una prima origine possibile sta in un’educazione iperprotettiva: molti genitori oggi, animati dalle migliori intenzioni, evitano ai figli qualsiasi difficoltà, frustrazione o insuccesso. Così facendo però impediscono ai bambini di fare esperienza del fallimento e di acquisire strumenti per affrontarlo.

In generale direi che è stata cresciuta una generazione “costantemente rivolta a ribadire la propria unicità e sensibilità”, fino a negare qualsiasi opinione contraria perché vissuta come invalidante per il proprio ego. Se un giovane viene sempre rassicurato di essere speciale e al centro dell’attenzione, faticherà ad accettare che il mondo esterno sia indifferente alle sue esigenze particolari.

 

Un altro fattore che contribuisce a determinare questa situazione è la mancanza di vere esperienze di vita durante la crescita.

Molti ragazzi passano l’infanzia e l’adolescenza in ambienti controllati o davanti a schermi digitali per troppe ore, senza sperimentare abbastanza la realtà “non filtrata”. Questa carenza di vita vissuta può lasciarli privi di strumenti pratici per cavarsela nel mondo reale.

Se nessuno ha mai messo in discussione le loro idee o li ha mai corretti apertamente per non ferirli, potrebbero non aver imparato a gestire disaccordo e frustrazione. Allo stesso modo, una presenza pervasiva dei social network può amplificare queste fragilità: online è facile trovare comunità che convalidano ogni emozione negativa, trovano facilmente un colpevole e fomentano radicando la convinzione.

Se “tutti intorno a te agiscono come se qualcosa fosse pericoloso” – ad esempio certe parole o libri scomodi – finirai per sviluppare anche tu quella paura o intolleranza se non hai sviluppato pensiero critico.

In sostanza, la cultura dominante tra i giovani oggi spesso insegna a temere e a evitare ciò che disturba, aspettandosi che sia il mondo a riconoscerlo e cambiarlo per non urtare i loro fragili sentimenti. Questa iper-vigilanza emotiva può avere conseguenze patologiche: diversi psicologi esperti in materia avvertono che la “nuova protettività” pedagogica sta insegnando agli studenti a ragionare in modo disfunzionale, quasi patologico. Ogni critica viene percepita come un’aggressione personale, ogni contrarietà scatena crisi – una situazione che ovviamente non prepara ad affrontare la realtà adulta.

 

Realtà, resilienza e responsabilità personale

Prima o poi, infatti, arriva per ciascuno il momento di confrontarsi con la realtà esterna, senza rete di protezione. Ed è qui che diventa fondamentale coltivare la resilienza, ovvero la capacità di adattarsi e reagire alle difficoltà.

Le teorie psicologiche e pedagogiche più recenti sottolineano che insegnare a tollerare la frustrazione e affrontare le difficoltà nei giovani è essenziale per il loro benessere a lungo termine. Proteggerli ad ogni costo, al contrario, rischia di ottenere l’effetto opposto: infatti pensare di aiutare un bambino che ha paura del buio, tenendo accesa la luce….. è un approccio che conferma la paura, non aiuta a superarla.

Comunicazioni tipo:

“Si, ok, non hai vinto, non è giusto… rifacciamo la gara!”, “Ma certo! È la nonna che non dovrebbe dire certe cose! Speriamo che voglia almeno scusarsi…”, parlare con educatori e maestre affinché riservino (senza motivazioni reali) un trattamento di “riguardo” a tuo figlio perchè sensibile, significa confondere la cura con la concessione, e rischia di insegnare a tuo figlio che il mondo dovrebbe adattarsi alle sue emozioni invece che lui imparare a gestirle.

In questo modo, l’idea di rispetto si piega al bisogno immediato di consolazione, e tuo figlio impara che il disagio va evitato, non affrontato. Ma senza confronto, senza frustrazione, senza limiti chiari, non si sviluppano né la tolleranza alla fatica, né la capacità di stare in relazione con gli altri senza sentirsi costantemente feriti.

Essere sensibili non è una debolezza, ma un tratto che ha bisogno di essere allenato, non protetto in eterno. E i bambini hanno diritto a vivere le difficoltà nella giusta misura, senza adulti che spianano la strada fingendo che le salite non esistano, infatti una persona diventa realmente più forte non quando le spianiamo ogni strada, ma quando impara ad affrontare gradualmente le proprie paure, frustrazioni e ferite.

In ambito terapeutico si ripete spesso un concetto chiave: il trauma che abbiamo subito non è colpa nostra, ma guarire è una nostra responsabilità. Ciò significa che – per quanto sia ingiusto doversi curare ferite che non ci siamo inferti da soli – spetta a ciascuno di noi lavorare sulle proprie fragilità e traumi, senza pretendere che siano gli altri a farsi carico di aggiustarci. Un adulto, con l’aiuto magari di un bravo terapeuta, può imparare a gestire le cicatrici emotive senza riversarle sugli altri.

 

Di certo, questo non vuol dire negare l’importanza della gentilezza e dell’empatia nei rapporti umani, ne tantomeno significa accettare di essere bullizzati o di vedere limitati i propri diritti: rispettare il prossimo rimane un valore fondamentale. Tuttavia, c’è una differenza tra il legittimo invito al rispetto reciproco e l’illusione di poter “imbottire il mondo di gommapiuma” per evitare a chiunque qualsiasi dolore.

I genitori e gli educatori hanno il delicato compito di trovare un equilibrio: da un lato educare al rispetto e alla sensibilità verso gli altri, dall’altro insegnare loro ad affrontare le asperità che sicuramente incontreranno. Mettere limiti, mantenerli è una responsabilità enorme, perchè i figli possono piangere, opporsi, dirci che siamo “cattivi”. Quand’anche tuo figlio ti dicesse questo, gli lasceresti attraversare la strada da solo?? Credo proprio di no.

Quindi forse non è solo la fermezza ad essere in discussione, ma l’importanza che ognuno di noi dà ai pericoli che il mondo ci rappresenta.

…Ed è proprio qui che si gioca la partita più importante: quale idea di pericolo vogliamo trasmettere ai nostri figli? Se educhiamo temendo soprattutto la loro delusione o le loro lacrime, finiremo per proteggerli dalla vita stessa, anziché prepararli ad affrontarla.

Il dolore, la frustrazione, la rabbia e perfino la solitudine sono esperienze inevitabili, non nemici da evitare a ogni costo. Sono realtà che – se affrontate con supporto, ma non con annullamento – costruiscono radici emotive forti, autostima solida e capacità di stare nel mondo senza esserne travolti.

Essere adulti oggi significa accettare di non piacere sempre, di essere contestati, perfino accusati, ma rimanere fedeli a un principio educativo profondo: i bambini non hanno bisogno di un mondo senza ostacoli, ma di adulti che li accompagnino nel superarli, senza scorciatoie emotive né illusioni rassicuranti.

Perché, alla fine, la vera sicurezza non nasce da ciò che togliamo dalla strada dei nostri figli, ma da ciò che costruiamo dentro di loro.

 

 

 

 

 

Fonti: 

* Roberta Scalise, **“Snowflake generation, come sta la generazione dei ‘diventati grandi’ dopo il 2010”**, *Roba da Donne*, 24 gennaio 2023. * Lucia di Guida cit. in Roberta Scalise, *ibid.*.* Antonio Latella, cit. in Roberta Scalise, *ibid.*.* Sara Forniz, **“Quanti danni fanno i genitori iperprotettivi ai figli?”**, *Roba da Donne – Mamma*, 6 settembre 2022. *Elzevirus.it*, **“La sensibilità della generazione ‘snowflakes’”**, 2019. * Greg Lukianoff & Jonathan Haidt, **“The Coddling of the American Mind”**, *The Atlantic*, settembre 2015. * Cherie White, **“How to Overcome Victim Mentality”**, 20 settembre 2024.

 

 

 

Dr. Barbara Bove Angeretti – Psicologa, Coordinatore Genitoriale e Criminologa

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